Ci eravamo incontrati in un bar, sotto una pioggia che cadeva come una fitta trama di aghi liquidi. Lei non era una di quelle donne che si impongono allo sguardo: era la creatura della porta accanto, eppure proprio per questo carica di mistero. Sollevò la tazza del caffè con una goffaggine tenera, e un gesto maldestro rischiò di rovesciarmi addosso il liquido caldo. Rimase immobile, come pietrificata dal presagio di un disastro, e quel respiro improvviso — un singulto che fece fremere il suo petto sotto il tessuto leggero — rivelò, con l’innocenza crudele di un lampo, una fragilità che mi scosse più di qualunque posa studiata. La bocca, rimasta socchiusa, aveva la stessa espressione intatta e vulnerabile che appartiene agli istanti di piacere.Arrossì, si scusò, si ritirò in un angolo, e io la seguii come chi rincorre un segreto. Sedetti accanto a lei, ed ebbi l’impressione che l’imbarazzo si sciogliesse in minuscole risate, come ghiaccio al sole. C’era in lei qualcosa di insolito, di sfuggente, una nota stonata che però rende più struggente la melodia.Parlammo. Disse che aveva un appuntamento dall’estetista, ma era in anticipo. Io, già avvinto da quella naturalezza che le tremava addosso come un velo, le chiesi il numero. Ci scrivemmo nei giorni seguenti, e un gioco innocente — l’ammissione che entrambi amavamo i massaggi — si trasformò in promessa. Io, senza troppa convinzione, vantai le mie doti di massaggiatore. Lei, con disarmante semplicità, accettò.Così, una sera, a casa mia, tra chiacchiere e silenzi, iniziai a esplorare quel corpo che non aveva nulla della rigida perfezione da copertina, ma molto della verità: la morbidezza che si offre, la pelle che arde sotto il tocco. Le mani scivolavano lungo le gambe, la schiena, indugiavano, esitavano, tornavano a insistere. Poi la feci voltare, e i polpastrelli disegnarono arabeschi sulla curva del ventre, sul seno, sul collo, con la precisione di un calligrafo innamorato della propria lettera. Lei respirava in un ritmo che era già dialogo carnale. Io restavo vestito, accanto, e chiesi soltanto:— Ti è piaciuto il mio massaggio?— Sì… — sospirò.Le sfiorai le labbra con un sorriso che non voleva più fingere innocenza:— La prossima volta ti prenderò davvero. Sappilo.Ci fu un bagliore nei suoi occhi, e compresi che ci sarebbe stata una prossima volta.Martedì, a pranzo con il mio ex, il suono del telefono ruppe la monotonia del piatto. Sullo schermo, poche parole: Domani alle 13.00 ti va bene?Un fremito — stormo di farfalle improvvise — mi attraversò lo stomaco. Era lui. Non ci eravamo più scritti da quella sera, eppure non avevo smesso di immaginarlo. Le dita risposero quasi da sole:13.30.E subito la replica, asciutta, inevitabile:Ok. A domani.P.S.: Ditemi voi: sarà lei, con il suo pudore che sa di confessione, a condurci oltre o forse sarà lui, con la sua penna che graffia e accarezza allo stesso tempo.Chi avrà il privilegio di narrare il seguito?